Telemann, opere per violini senza basso: una “Sharp Band”
“Sharp violins proclaim / Their jealous pangs and desperation, / Fury, frantic indignation, / depths of pain, and height of passion, / For the fair disdainful dame”
Così John Dryden nel dipingere il carattere degli strumenti musicali descrisse le compagini dei violini nel suo Song for St. Cecilia’s Day del 1687, più tardi musicato da Handel. Anni or sono questi versi mi ispirarono l’idea di un programma che raccontasse il violino e la sua capacità di esprimere tali contrastanti passioni e stati d’animo: fu l’aggettivo sharp a suggerirmi che l’assenza del basso di accompagnamento ne avrebbe evidenziato le caratteristiche. Imaginarium Ensemble si è così sbarazzato temporaneamente della propria sezione di bassi, divenendo una “sharp band” di violini solitari. La vasta produzione senza basso continuo di Telemann si è rivelata ideale per la realizzazione del progetto, in particolar modo i rari concerti per quattro violini – cuore del programma – ma anche per la varietà di scrittura e forza espressiva dei duetti. La Sharp Band di Imaginarium Ensemble si avventura così in un mondo fluttuante, intenso e volubile allo stesso tempo, fatto di scherzi, imitazioni, galanti duelli amorosi ed inseguimenti sospesi in un vuoto senza basso. Georg Philipp Telemann (1681-1767) è uno tra i più prolifici compositori della storia, e la sua produzione costituisce un ricco e variegato spaccato della cultura musicale tedesca alle soglie dell’Eta dei Lumi. Questo programma include una selezione di lavori per pochi strumenti senza basso continuo, composti per un pubblico di “amatori”: non tragga in inganno il termine “amatori”, col quale si intendevano musicisti che non potevano esercitare la professione – perlopiù per ragioni di stato sociale, essendo nobili o ricchi borghesi – che si dedicavano dunque unicamente ad esecuzioni domestiche. Tuttavia, come testimonia la scrittura di alcune pagine incluse nel programma, erano spesso esecutori di livello pari a quello dei professionisti. Le scelte formali operato da Telemann per comporre questi lavori – canoni, fughe, passaggi di gusto francese, italiano o “galante” – per usare le parole del musicologo Stefano Aresi, si manifestano « non tanto per dimostrare le proprie competenze, quanto piuttosto per mettersi a servizio di un divertissment in cui i fervidi frutti della fantasia dell’autore parlavano un linguaggio comprensibile, non scontato e ben educato agli usi della musica tedesca, italiana, polacca e francese più in voga. […] Per usare un parallelo culinario, in sostanza, Telemann si presentava al pubblico come uno chef che conoscesse molto bene gli ingredienti più amati dai propri clienti, decidendo di dar vita a creazioni gastronomiche concepite per far apprezzare la freschezza e il sapore tipico ed unico di quei singoli ingredienti, più che la eventuale complessità del piatto in sé. Un cromatismo, un richiamo ad una scrittura “di caccia”, una citazione, divengono così elementi portanti di un gioco di cui tutti partecipanti conoscono le regole, possono intuire meccanismi, e gioire per alcune piacevoli arguzie distillate qua e là. Telemann offre una tavolozza di colori musicali in cui il pubblico tedesco dell’epoca mediamente preparato avrebbe potuto riconoscersi, comprendendo bene gli elementi linguistici scelti (anche dialettali) e il loro utilizzo da parte del celebre maestro, in un discorso artistico particolarmente propenso ad una retorica concinnitas.»