L’ambiente correntemente detto ‘Sala degli Stemmi’ si trova nell’ala più antica del Palazzo della
Carovana, al suo terzo piano e si affaccia su Piazza dei Cavalieri. Ad oggi, e dai primi anni Trenta del
Novecento, è per lo più deputato a ospitare le conferenze e le discussioni delle tesi dottorali, che si
tengono presso la Scuola Normale Superiore.
Come apprendiamo osservando la pianta del palazzo conventuale della Carovana delineata dall’architetto
pisano Giovanni Michele Piazzini, nel 1754 la sala prendeva il nome di «sala della scherma ed altri
esercizi». Essa era direttamente collegata alla sottostante ‘Sala delle Armi’, oggi Azzurra, dallo scalone
aperto a tre rampe progettato da Giorgio Vasari in uso fino all’Ottocento.
Sebbene la Sala degli Stemmi fungesse, negli anni sessanta del Cinquecento, da ‘palestra’ per lo
svolgimento degli esercizi militareschi a cui si sottoponevano i Cavalieri, sappiamo che già nel 1590 –
vale a dire venticinque anni dopo la solenne inaugurazione del Palazzo della Carovana – l’ambiente
cominciò a essere fregiato dei blasoni nobiliari di coloro che avevano più recentemente vestito l’abito
dell’Ordine di Santo Stefano. I novantasette stemmi che oggi corrono senza soluzione di continuità
sull’alto cornicione delle pareti celebrano i Cavalieri ordinati negli anni 1594-1604. Tra questi figura
anche quello del celebre collezionista e committente Cassiano dal Pozzo, nipote dell’arcivescovo
biellese Carlo Antonio, fondatore del Collegio Puteano. Restaurato con il finanziamento della Fondazione
Pisa nel 2011, il soffitto ligneo a cassettoni ampi e di forma irregolare che ricopre la sala fu stagliato,
verosimilmente, dal maestro di legname Pier Agnolo di Domenico da Firenze nel corso del 1562, sulla
scorta del disegno fornito dall’architetto Giorgio Vasari. È proprio il grande palco in legno cassettonato
l’elemento architettonico e decorativo più significativo introdotto dal celebre artista e scrittore aretino in
quest’ambiente, la cui planimetria ricalca quella della sala sottostante, la già citata Sala Azzurra.
Non va invece ricondotta a maestranze del seguito di Vasari la diffusa decorazione pittorica che
riscontriamo nelle pareti: un lungo fregio di girali floreali, cornucopie, ceste di frutta e grottesche corre
nell’imbasamento delle pareti; un nastro ornato è dipinto al di sotto della cornice di sostegno agli scudi;
motivi fitomorfi e stilizzati si estendono sui cassettoni, sulle cornici e sull’imponente trave di mezzo.
Sebbene l’aspetto apparentemente tardo-rinascimentale abbia indotto ad associare questo apparato
decorativo alla grandiosa operazione vasariana di metà Cinquecento, recenti ricerche d’archivio hanno in
realtà rivelato che le pareti e il soffitto dell’ambiente vennero adornate in tal guisa soltanto nel marzo del
1929, dal decoratore originario di Carmignano (in provincia di Prato) e attivo a Pisa Cesare Cigheri.
L’intervento di quest’ultimo fu una delle tappe della grande impresa di ammodernamento e ‘restauro’ del
Palazzo della Carovana, guidata da Giovanni Gentile a partire dal 1928, quando cioè il senatore siciliano
divenne regio commissario della Scuola Normale (di cui era anche affezionato alumnus). In
quell’occasione, oltre alla decorazione ‘in stile’ delle pareti della sala (che comprese persino
l’ornamentazione delle imbotti delle quattro finestre con cornici floreali e fasce monocromatiche in giallo
chiaro), Cigheri provvide a ritoccare gli stemmi dei Cavalieri e i rosoni collocati al centro di ogni
cassettone, adoperando una lumeggiatura ad oro che avrebbe conferito la patina dell’antico. Otto di questi
rosoni furono rimpiazzati, ancora nel 1929, da altrettanti stemmi in stucco raffiguranti alternativamente la
croce di Santo Stefano e l’emblema del regime, il fascio littorio, affiancato dal riferimento all’anno
dell’era fascista (il settimo) in cui furono condotti i lavori. Si sono conservate al centro dei formelloni, al
di qua e al di là della grande trave che divide in parti diseguali il soffitto, alcune di queste superfetazioni
plastiche, che simulano un lessico scultoreo di cultura manieristica: in particolare, è ancora possibile
osservare gli stemmi in cui figura la croce stefaniana; sembra verosimile invece che gli stemmi con la
caratteristica croce bianca pomata su fondo rosso, emblema della città di Pisa, che vediamo oggi sul
soffitto, abbiano rimpiazzato le insegne fasciste.
A ben vedere, il programma decorativo approntato tra 1928 e 1929 fu guidato da una smaccata
rievocazione dell’ornato rinascimentale, ma non dovette basarsi sulle tracce d’affresco riscoperte durante
la campagna di ristrutturazione e messa in sicurezza della sala. Nel 1932, infatti, lo storico dell’arte Mario
Salmi diede notizia del rinvenimento nella sala, sotto il pavimento della parete di fondo e del muro
d’ingresso, di diversi frammenti pittorici risalenti, secondo la sua analisi, alle diverse età del palazzo e
riferibili nel medioevo all’ambiente sottostante, la Sala Azzurra: tra questi, un affresco trecentesco
sviluppato nei toni del rosso e del verde, ma anche «formelle sagomate di verde su rosso» dal sapore già
rinascimentale. Poté così ipotizzare che il livello pavimentale dell’area palaziale trasformata da Vasari
nell’attuale Sala degli Stemmi fosse più alto.
Dal 1929 ornano le pareti della sala quattro dipinti che furono prestati permanentemente alla Scuola da
Nello Tarchiani, direttore delle Regie Gallerie e Musei di Firenze: la Madonna col Bambino, san
Giovannino e santa Elisabetta di Giovambattista Naldini, la Santa Caterina d’Alessandria e di Michele
Tosini, la Sacra Famiglia della sua cerchia, e un dipinto che riproduce la celebre composizione
michelangiolesca di Venere e Amore. Due monocromi di Benedetto Veli (la Resa di Montmélian a Enrico
IV di Francia e l’Imbarco di Filippo II da Barcellona alla volta delle Fiandre) occupano la parete di fondo
del salone dal 2012. Le opere citate, che appartengono ad artisti della Maniera toscana, si intonano
perfettamente con l’ambiente pseudo-cinquecentesco che Gentile, Cigheri e l’ingegner Giovanni
Girometti vollero confezionare nel corso del loro intervento di restauro del palazzo.
Ben prima di questo, l’ambiente fu interessato solo collateralmente dai lavori di demolizione delle tre
rampe in cui si sviluppava lo scalone vasariano nel passaggio dal secondo al terzo piano; in
quell’occasione, infatti, il ricetto anteriore alla parete orientale dell’allora Sala della Scherma, che doveva
consentire un accesso secondario ad essa dall’andito della rampa sinistra del vecchio scalone, fu
riconfigurato per consentire la messa a punto della nuova scala progettata dall’ingegnere Giuseppe Caluri
tra il 1824 e il 1825.